Lo so che il “perbenismo” è già di per sé ipocrita, ma ogni tanto un rafforzativo ci sta, soprattutto quando si parla di “scandalo“. Ormai ci scandalizziamo per tutto, ma niente ci tocca più per davvero, siamo anestetizzati al peggio. Urliamo – per lo più virtualmente – per questa o quella malefatta. Ci indigniamo. Ci deprimiamo. Per quanto? Il tempo necessario a ricevere la notizia successiva, a leggere questo o quel commento. E poi ci lamentiamo… quanto ci lamentiamo!

L’immagine che, mio malgrado, ho in mente, è quella di uno di quegli aggeggi che sparano palline per far allenare un tennista che non sa quale sarà la direzione della prossima palla, ma sa che deve prenderla e correre quanto basta. Fino a non avere più fiato. Lì non c’è tecnica, ma solo rapidità. Non c’è calcolo, ma reiterazione di un comportamento da parte di chi “sa” che la pallina arriverà e deve farsi trovare pronto a gettarla dall’altra parte del campo, in direzione di un avversario immaginario che, in quanto tale, è ancora più avversario. E ancora più immaginario.

Cosa stiamo dimenticando? Che tutto – il sistema delle notizie, i social, proprio tutto, oggi – è gestito per davvero in maniera da farci correre sul campo dietro alle palline sul campo n.1 mentre proprio vicino a noi , sul Centrale, si sta svolgendo una partita vera. Di là, sul Centrale, uno dei due vincerà, l’altro perderà, ma torneranno a casa stanchi per aver giocato una partita vera. E noi che siamo sul campo n.1? Ci illuderemo di aver giocato, sognando il momento in cui avremo l’applauso degli spettatori e la ola e magari pure la standing ovation. Ci illuderemo che, un giorno, saremo dei grandi. E forse sarà così, ma questo non potrà mai accadere finché non cambiamo campo.

Finché non cambiamo prospettiva.

Intanto io, nel mio piccolo, ho trovato il modo di aggirare il blocco di Facebook a questo blog. Sì, il “social più amato dagli italiani” non mi permette più di condividere articoli da Il club delle Vagine tristi perché lo ritiene offensivo. Perché c’è la parola Vagina. Perché è diventato vergognoso nominare una parte anatomica femminile, la stessa da cui nascono i bambini – tranne i boss di Facebook, loro sono stati trovati sotto un pero.

E, allo stesso modo e più importante, ho trovato il modo – forse, speriamo, incrociamo le dita – di pubblicare finalmente il libro Il club delle Vagine tristi. Ho sudato un anno e mezzo per la stesura di quel libro, l’ho già revisionato e altro lavoro mi aspetta prima della pubblicazione, ma è nel cassetto. È sul campo n.1, nell’attesa di capire come aggirare il destino che lo aspetta su Facebook e su Amazon: il blocco, con conseguente cancellazione del mio account e di tutti i libri già pubblicati. Per il titolo. PER LA PAROLA VAGINA!

È la storia di una bellissima amicizia al femminile quel libro. Nel mio piccolo – sempre – credo che racconti una storia positiva, piena di valori importanti, belli, di quelli di cui abbiamo tanto bisogno per riflettere, per cambiare la nostra prospettiva, per fare veramente la differenza e mandare a fanculo la macchinetta che spara le palline e andare sul Centrale e dire: “Ecco, sono qua, voglio giocare”.

Perché in una società che ancora in caso di stupro colpevolizza la vittima e non il carnefice, che ancora – se lo stupro ha come vittima un maschio e non una femmina – si sbraca dalle risate affermando, con una ignoranza che non ha giustificazioni, che un uomo non può essere vittima di stupro perché ha l’erezione (sì, siete ignoranti, lo ribadisco e sottoscrivo) e sbeffeggiano con frasi del tipo: “Fosse capitato a me, magari!”, ecco, in uno status quo che davvero fa venire i brividi, io scelgo di non lamentarmi, di non puntare il dito, di non giudicare.

Scelgo di fare la differenza nella maniera più consona a una scrittrice: con le parole. Con una storia che, se servirà anche solo a non far sghignazzare davanti alla parola “Vagina” mentre si immaginano chissà quali storie di sesso – non ci sono, non è un libro erotico! – io avrò giocato la mia partita.

E a quel punto, che io vinca o perda, non avrà più molta importanza. Mi prenderò di diritto la libertà di definirmi scrittrice perché, per me, tale non è chi scrive libri, ma chi quei libri li usa per indurre una riflessione e, perché no, un cambiamento.

© Il Club delle Vagine tristi, alias Elisabetta Barbara De Sanctis, alias alias EliBì

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